Un incontro esperienziale; così si può definire il convegno dal titolo “Viaggio nella Biodiversità Olivicolo-Olearia”, che ha visto la partecipazione di illustri relatori e una platea di appassionati, esperti e operatori del settore davvero di prim’ordine.
Scenario della manifestazione, vero e proprio viaggio, come giustamente annunciato nella presentazione, il frantoio dei fratelli Torchia a Tiriolo nel catanzarese, azienda che ha organizzato l’evento e messo a disposizione la sua bella struttura che sorge nella frazione Pratora.
Ad aprire la mattinata, Lucia Talotta, capo panel e responsabile marketing dell’azienda Torchia. La Talotta, dopo aver sottolineato l’importanza del patrimonio olivicolo italiano, unico al mondo annoverando più di 600 cultivar, ha introdotto i vari relatori, dialogato con loro, posto domande avendo sempre cura di coinvolgere gli astanti.
Il primo intervento, quello di Maria Antonietta Sacco, direttore del Gal dei Due Mari: dopo aver ringraziato l’azienda Torchia, autentico fiore all’occhiello della Calabria olivicola e del nostro territorio, ha spiegato il funzionamento del Gal, comprendente, tra ionio e Tirreno, ben 42 comuni. Ha evidenziato poi le occasioni di scambio con altri Gal, il valore della biodiversità nella logica di governament del Gruppo di Azione Locale, e le cosiddette Misure “a regìa diretta” legate ai progetti 1.2.1 sulle micro-filiere: olio, castagne, piccoli frutti, spezie, carne, latte e derivati”.
Al suo intervento ha fatto seguito quello di Alessandro Tallarico Presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Catanzaro. “Indispensabile – ha detto – è costruire una rete e stare insieme. Se non si fa massa critica non si va da nessuna parte, soprattutto parlando di biodiversità (…). E poi ancora: “se vogliamo vincere la scommessa dobbiamo, necessariamente, legare il prodotto al territorio per contrastare la concorrenza che arriva da paesi che producono molto più di noi come la Spagna”.
Fulcro centrale dell’incontro è stata, senza ombra di dubbio, la relazione della dottoressa Samanta Zelasco Prima ricercatrice del CREA di Rende, ricca di spunti e di riflessioni sul tema legato alla biodiversità olivicola. “I ricercatori del CREA Centro di ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura sede di Rende, studiano l’olivo da molti anni e io in particolare, come genetista, studio la diversità della specie analizzando il suo DNA. Recenti risultati ottenuti indicano come la diversità genetica dell’olivo coltivato italiano non sia realmente così elevata. Sono molte le varietà – ha spiegato la dottoressa Zelasco – che mostrano casi di sinonimia ovvero varietà denominate in modo diverso ma che mostrano avere lo stesso DNA. Un esempio eclatante è quello della Sinopolese che corrisponde a una varietà siciliana chiamata Olivo di Mandanici. Queste evidenze mettono inoltre in discussione l’origine geografica delle varietà. Dove è nata la Sinopolese? In Sicilia o in Calabria?”.
La ricercatrice ha poi puntato i riflettori su quella che può essere considerata una delle insidie principali attuali: il clima rispetto alla biodiversità. “Un altro aspetto che stiamo studiando – ha precisato la Zelasco – è se il grado di diversità presente entro le varietà italiane sia sufficiente per contrastare l’impatto del cambiamento climatico. Per fare un esempio concreto stiamo studiando la tolleranza alla siccità e verificando se entro il DNA del germoplasma coltivato italiano sia incluso potenzialmente questo tratto. Qualora non fosse presente, – ha concluso la genetista – avremo la necessità di avviare nuovi programmi di miglioramento genetico da incrocio volti ad aumentare la diversità nel nostro germoplasma al fine di introdurre nuovi tratti utili per fare fronte alle sfide del cambiamento climatico”.
La passione per il mondo dell’olio, visibile nella relazione della Zelasco ha proseguito il suo fluire nelle parole di Maria Cristina Di Giovanni del Consorzio DOP Lamezia che, dopo aver raccontato la storia del consorzio partendo da una donna visionaria, la dott.ssa Mary Cefalì, anticonformista, animata da un fuoco di cambiamento, ha spiegato come l’olio Dop Lamezia, per essere tale deve, non solo provenire da olive coltivate nell’area eletta, ma deve essere trasformato in impianti di filiera e che anche l’imbottigliamento deve avvenire sul posto. Questo è un limite da un lato, ma dall’altro rappresenta un valore”.
Alla discussione ha fatto seguito un momento pratico durante il quale tutti i presenti hanno avuto la possibilità di viaggiare con i sensi tra diversi oli extravergine italiani e stranieri. A condurre la sessione di assaggio, Lucia Talotta. Un momento estremamente coinvolgente in cui tutti hanno potuto apprezzare le qualità degli oli proposti sotto l’aspetto olfattivo e gustativo e capirne le minime sfumature sensoriali
Le conclusioni dell’incontro sono state affidate al direttore del CREA di Rende, Enzo Perri che, dopo aver spiegato in breve il ruolo del centro cosentino, si è soffermato sull’opportunità di puntare sulla valorizzazione non solo dell’olio, ma anche dei sottoprodotti come la sansa e il nocciolino, partecipando ai presenti i risultati raggiunti da alcune ricerche dell’ente che dirige, non tacendo le difficoltà che il mondo della ricerca, anche in questo comparto, vive.
Fonte A. Cosentini giornalista pubblicista